venerdì 8 luglio 2011

L'Italia senza Garibaldi


Un libro in uscita in questi giorni racconta cosa sarebbe oggi l'Italia se Garibaldi con i suoi Mille non fosse salpato dalla Liguria per la conquista del meridione. E riflette su un ipotetico futuro costruito sulla vittoria di un movimento indipendentista desideroso di riportare il Belpaese a prima del 1861. Un gioco curioso, ma anche una disciplina letteraria ben precisa chiamata ucronia, che fa delle ipotesi storiche il suo cavallo di battaglia

Regno di Sardegna, Lombardo Veneto, Granducato di Toscana, Stato Pontificio, Savoia, Regno delle Due Sicilie... È l'Italia del 1848, un Paese diviso in numerose strutture amministrative, indipendenti e con storie a sé stanti. Con l'inizio delle guerre di Indipendenza, però, tutto cambia, in concomitanza con l'affermazione, soprattutto fra la gente comune, del desiderio di unità nazionale. Nel 1860 l'evento clou che apre definitivamente le porte al nuovo Stato italiano: la Spedizione dei Mille. Giuseppe Garibaldi, soprannominato l'eroe dei due mondi, con un manipolo di coraggiosi volontari salpa da Quarto, in Liguria, alla volta della Sicilia, dove sbarca a Marsala. Assedia Gaeta e conquista il Regno delle Due Sicilie, esiliando definitivamente i borboni. L'Italia s'è desta, ma questa è la storia che tutti conosciamo. Cosa sarebbe successo, invece, se le cose non fossero andate così? Se Garibaldi, per esempio, si fosse fermato a Marsala e i Savoia, anziché espandersi a sud, avessero pensato di volgere le loro attenzioni alla Francia? E cosa succederebbe oggi se un movimento indipendentista riuscisse a spaccare l'Italia in due, riportandoci a prima dell'Unità? Fantastoria, certo, ma è proprio da quesiti analoghi che è partito Pasquale Chessa, giornalista culturale ed ex insegnante di Storia dei fascismi presso l'Università La Sapienza di Roma, per scrivere il suo ultimo saggio Se Garibaldi avesse perso (Marsilio Editore), coinvolgendo i migliori storici italiani.
Un'Italia divisa in due blocchi, nord e sud, separati dallo Stato Pontificio. Vede così il Belpaese Giovanni Sabbatucci, cattedra di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, senza l'epopea garibaldina. L'Unità sarebbe dunque sopraggiunta più tardi, verosimilmente in concomitanza con la fine della prima guerra mondiale, con il riassestamento di gran parte dei confini degli stati europei. Avrebbe, in pratica, seguito il destino di altre nazioni come la Yugoslavia e la Cecoslovacchia. E se, invece, settentrione e meridione fossero rimasti isolati anche in seguito al primo conflitto mondiale? «Il piccolo Stato dell’Italia settentrionale si sarebbe evoluto così da assomigliare alla Slovenia o all'Austria, ma senza grandi successi politici», spiega Sabbatucci. «Mentre il Regno delle Due Sicilie sarebbe diventato una sorta di Grecia, altrettanto depresso, debole e con una forte dipendenza internazionale».
Diverso il parere dello storiografo Mario Isnenghi, secondo il quale Garibaldi non ha né vinto, né perso: di conseguenza non si può formulare un'ipotesi attendibile su ciò che sarebbe potuto essere il futuro italiano senza la missione garibaldina. Giudicando contradditoria l'immagine storica dell'Eroe dei due Mondi, rimanda pertanto a infinite possibilità di lettura e usi politici della sua memoria. «Dal mio punto di vista il condottiero è stato politicamente sconfitto, ma militarmente ha trionfato», rivela Isneghi. «Senza la Spedizione dei Mille, presumibilmente, non ci sarebbe stato il Risorgimento e quindi nemmeno l'Italia».
Parte prima, invece, Emilio Gentile, docente di Storia contemporanea a Roma, fantasticando sulla vittoria di Carlo Alberto nel 1848, contro il maresciallo Radetzky, che, come è noto, non c'è stata. In questo caso sarebbe stata possibile l'evoluzione di un grande regno monarchico liberale dell'Italia del centro-nord, ma non quella inerente i presupposti per la missione delle giubbe rosse: gran parte degli italiani, infatti, sarebbe già stata soddisfatta e non avrebbe fomentato ulteriori rivolte. «Piuttosto sarebbero potuti entrare in conflitto Piemonte e Regno delle Due Sicilie», sottolinea lo storico. 


Questo è, dunque, quel che sarebbe potuto accadere nel passato, ma nel presente, che tipo di evoluzione avrebbe l'Italia se un leader politico riuscisse a creare le premesse per la frammentazione del Paese? Per Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea presso l'Università Bocconi di Milano, difficilmente si potrà giungere a un risultato simile, perché ci vorrebbe una forza internazionale fortissima per raggiungere delle misure così drastiche, mantenendo il consenso popolare. Per avallare la sua tesi fa un paragone con la realtà belga. «Anversa è credibile perché è uno dei porti più grandi d’Europa, cosa che ha richiesto degli sforzi immani», afferma Berta. «Si provino a immaginare gli stessi sforzi in Italia, come cancellare dalla carta geografica delle località per fare dei bacini come è accaduto, appunto, nelle Fiandre. Già questo scenario ci dà la misura dalla sua scarsa credibilità».
Anche Sabbatucci è sostanzialmente concorde con il collega, ritenendo il ritorno a prima dell'Unità un'ipotesi assai remota. Fa riferimento a una classe dirigente forte, appoggiata da un altrettanto solido consenso popolare, situazione non riferibile alla realtà italiana attuale: la Lega Nord viene, infatti, giudicata da Sabbatucci una semplice azione di disturbo, che non ha niente a che vedere con la capacità reale di una struttura o un organo in grado di mobilitare le masse e condizionarle al punto da portarle a credere in rivoluzioni così importanti. «Guardando ai numeri, d’altra parte, la Lega non ha ottenuto successi sostanziali in nessuna grande città del nord», precisa lo storico. «Con queste premesse, quindi, non credo si possa riuscire a sfasciare un paese. È un’azione che in negativo può fare parecchio, ma in positivo non può fare nulla».
Ma c'è anche chi la pensa diversamente. Per Gentile, infatti, non è da escludere la possibilità di “ritorno alle origini”, perché, spiega «la follia umana, quando comincia a giocare con certe parole di gravità estrema, come secessione, può sempre trovare un gruppo di gente che, fanatizzata da questa idea, pensi di doversi sacrificare per realizzarla». Con ciò lo studioso non si considera affatto tranquillo, benché razionalmente incredulo dinanzi al fatto che un domani possa verificarsi un summit fra il governatore del Molise e il presidente della Cina.
Non è la prima volta, comunque, che si fantastica su scenari storici appannaggio dell'immaginazione. C'è addirittura una disciplina letteraria specifica che si occupa di queste fantastorie: l'ucronia. Nella Histoire de la Monarchie universelle: Napoléon et la conquete du monde, per esempio, lo scrittore Louis Geoffroy, fantastica sulla campagna di Russia napoleonica: l'imperatore di Francia, anziché far ritorno a Parigi con la coda fra le gambe, conquista Mosca e fonda un impero universale segnato dai prodigiosi progressi della scienza e della tecnica. Nel 1931 lo storico britannico John Collings Squire invita alcuni esponenti dell'intellighenzia contemporanea, tra cui Winston Churchill, a ricostruire ipotetiche trame storiche pubblicandole all'interno dell'antologia Se la storia fosse andata diversamente (If It Had Happened Otherwise). L'americano Philip K. Dick, nel 1961, dà alle stampe La svastica sul sole: in esso ipotizza la vittoria dei tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale, con il mondo diviso in due blocchi geografici e amministrativi, rispettivamente comandati da Germania e Giappone. Anche il letterato Fred Allhoff affronta un argomento simile portando addirittura le armate naziste a invadere gli USA: il libro si intitola Lightning in the Night e viene pubblicato sulla rivista Liberty Magazine.

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