venerdì 5 giugno 2009

Lotta al dolore cronico con la concentrazione

Secondo gli scienziati dell’università di Stanford e del Mit di Boston è possibile controllare il dolore con il cervello. Come? Semplicemente concentrandosi su una parte del corpo che non duole. Esempio. Se si è affetti da una terribile emicrania ci si mette a pensare intensamente a una gamba o a un braccio ed è così che in pochi minuti il dolore se ne va. La conferma di ciò arriva da un test effettuato su individui colpiti da dolore cronico, sottoposti a risonanza magnetica e indotti a concentrarsi su parti dell’organismo sane. Si è visto che è possibile ridurre il dolore dal 41 al 66%. Attualmente la nuova tecnica non è ancora applicabile in ambito clinico, ma secondo gli scienziati potrebbe presto essere sfruttata per la cura di svariate patologie fra cui depressione, ansia, dislessia. “È la prima volta che dimostriamo ufficialmente la possibilità di controllare una regione specifica del proprio cervello per regolare meglio la percezione del dolore – ha detto Sean Mackey, direttore associato della Pain Management Division della Stanford University di Stanford (California) e responsabile del progetto. Per arrivare a simili risultati Mackey e colleghi hanno concentrato i loro sforzi sulla fisiologia della corteccia cingolata anteriore, un’area del cervello coinvolta nell’elaborazione del dolore. In considerazione è stato preso anche il cosiddetto biofeedback, fenomeno per cui l’individuo impara a controllare l’attività circolatoria del sangue e il battito cardiaco tramite l’autoconsapevolezza di poter agire su essi, obbligando il cervello a lavorare a proprio piacimento. Secondo Richard Gracely, neurologo della Medical School della University of Michigan di Ann Arbor, specializzato in ricerche sul dolore, “la nuova tecnica potrebbe rivelarsi molto importante per quel che concerne le metodiche di controllo del dolore in condizioni cliniche critiche, specialmente là dove gli analgesici tradizionali non hanno alcun potere”. John Gabrieli, neuroscienziato del Mit che ha preso parte allo studio, ha aggiunto che la ricerca potrebbe inoltre avere interessanti ripercussioni anche sulla salute dei bimbi dislessici, piccoli con difficoltà di apprendimento.

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